GINOSA.
Qualche errore commesso da altri e la vita che cambia
irreparabilmente, per sei mesi, forse per sempre. Un'accusa che pesa;
poi l'assoluzione. Ma, ormai, il tempo perso è andato e non si torna
indietro. Fa riflettere la storia di Francesco Caponio, noto
imprenditore edile di Ginosa.
"Assolto
dai reati ascrittigli, perché il fatto non sussiste". Con
sentenza pronunziata dal giudice Giovanni Pomarico, il 5 luglio 2013
e depositata il 14 ottobre scorso, finisce la lunga vicenda
giudiziaria, che lo aveva visto coinvolto. Era iniziata nel 2006, per
alcune denunce. Poi, le indagini, durate circa un anno e l'epilogo.
Il 6 febbraio del 2007, dai Carabinieri della stazione di Marina di
Ginosa, Caponio viene sottoposto agli arresti domiciliari, su
richiesta del pubblico ministero Ida Perrone, in esecuzione di
un'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal giudice per le
indagini preliminari Pio Guarna.
L'imprenditore
edile è accusato di attentati incendiari e dinamitardi a danno di
alcuni clienti e di aver indotto i suoi ex dipendenti a rinunciare
alle vertenze di lavoro. Ed, ancora, a suo carico, pesano
danneggiamenti ed episodi estorsivi. Ben 23 capi di accusa per
Caponio. La sua, sino ad allora, era stata la vita di un semplice
uomo, dedito alla propria attività, agli affetti familiari. Una vita
fatta di onesto lavoro e di assoluto rispetto per le istituzioni e
per le persone. Ogni iniziativa culturale, sportiva, sociale, in
paese, portava il segno del suo servizio per il territorio.
Sponsorizzazioni fatte, soprattutto, con il cuore di ginosino e non
solo con la tasca di affermato imprenditore…
Poi,
ad un tratto, il vuoto, la solitudine, l'indifferenza della gente e,
peggio ancora, il giudizio di chi, sino ad allora, gli era stato
vicino: un tempo, amici; poi, da quel momento, insospettabili giudici
morali.
Prima
dell'arresto, nella sua ditta, lavoravano in media 40 - 50
dipendenti, tutti regolarmente assunti. Una ditta modello, creata dal
nulla, unicamente con la forza e la volontà di un lavoratore
infaticabile. Un'azienda di pitturazione, nata nel 1986 e diventata
una grande realtà edile nel 2000. Poi, dal 2007, sei mesi di arresti
domiciliari e, quindi, il baratro. Oggi, quella stessa ditta, conta
solo due - tre dipendenti.
La
reputazione infangata, la famiglia annientata, un figlio che cerca di
ricostruirsi una vita in Svizzera, un'attività distrutta. Intanto,
il processo si è concluso e Caponio, difeso dagli avvocati Giovanni
Vinci di Massafra e Gianvito Bruno di Laterza, è stato assolto in
primo grado, con formula piena e non dubitativa, per non aver
commesso il fatto.
Innocente,
quindi, per la giustizia, ‹‹ma privato - ci dice - della libertà
di uomo, di imprenditore, di padre, di marito, di semplice cittadino,
per indagini troppo superficiali e lacunose. Ho perso tutto››. E,
nonostante giustizia sia stata fatta, l'amarezza resta: il giudizio
della gente pesa come un macigno.
Oggi,
Franco Caponio, 54 anni il prossimo 7 ottobre, termina le sue ore in
azienda e si chiude in casa. ‹‹Tutti - dice - mi hanno voltato le
spalle. Sono sdegnato e non riesco a fidarmi più degli altri. Non
meritavo di essere giudicato dagli uomini, ancor prima che mi
giudicasse la legge. Ne sono uscito pulito, ma svuotato nell'anima.
Nessuno può restituirmi la vita, che mi è stata indegnamente ed
ingiustamente rubata. Chi paga per questo? Solo e, chissà per quanto
tempo ancora, Franco Caponio e la sua famiglia. A costruire un
palazzo, ci vogliono mesi; a distruggerlo, solo minuti››.
La
battaglia di Caponio, ora più che mai, è quella di trovare i mezzi
per continuare a garantire uno stipendio a quei pochi operai che, da
oltre quindici anni, continuano ad affiancarlo con fiducia. Cosa
chiede, oggi, Caponio? Forse che ‹‹i Ginosini si ricordino chi
era Franco prima di questa terribile vicenda: la stessa persona che è
oggi: pulita, trasparente, innocente … eppure profondamente delusa,
non dalla giustizia, che ha seguito il suo iter, non dalla vita, ma
unicamente dagli uomini!››.