Non
ce l’ha fatta uno dei due studenti che a metà del giugno
scorso erano
rimasti vittime, a Perugia, di una grave intossicazione da botulino.
Rocco De Pace,
viterbese di 26 anni, dopo le dimissioni dall’ospedale
Santa Maria della misericordia di Perugia era stato ricoverato in
quello di Viterbo dove però, nella notte tra venerdì e sabato, è
morto. Insieme al coinquilino leccese aveva mangiato del cibo mal
conservato, in barattoli non perfettamente sottovuoto. Il pugliese fu
dimesso il 30 luglio in buone condizioni di salute, mentre il 13
agosto De Pace fu trasferito a Viterbo.
Il
calvario Il
26enne era rimasto più a lungo in rianimazione, per poi essere
trasferito a Viterbo per avviare una riabilitazione. Entrambi erano
stati sottoposti a un intervento di tracheotomia per favorire la
respirazione. Il quadro clinico dei due pazienti era emerso in tutta
la sua gravità fin dai primi accertamenti diagnostici eseguiti nella
stessa notte del loro arrivo in ospedale. I funerali si
terranno domenica alle 15 nella chiesa di Santa Maria della Verità a
Viterbo. La morte del 26enne rappresenta il secondo lutto in un
brevissimo periodo di tempo per la famiglia: una decina di giorni fa
è infatti venuto a mancare il padre, Ciro De Pace, ex docente di
genetica agraria dell’università della Tuscia. De Pace aveva 66
anni ed era originario della cittadina pugliese di Mottola, anche se
da moltissimo tempo viveva con la famiglia a Viterbo.
Parla
l’esperta «Il
botulino – spiega la professoressa Antonella Mencacci, responsabile
della struttura complessa di Microbiologia dell’Azienda ospedaliera
di Perugia – è una rara, ma gravissima malattia causata da un
veleno prodotto da un batterio: il Clostridium botulinum (dal latino
botulus, salsiccia). Le spore di questo batterio sono ovunque, nel
suolo o nell’acqua, e sono estremamente resistenti a varie
condizioni, come i raggi ultravioletti o la bollitura a 100 gradi. Le
spore sono distrutte solo dalla sterilizzazione con strumenti
specifici come le autoclavi di laboratorio. In un alimento, in
assenza di ossigeno (insaccati o nelle conserve sott’olio), di un
sufficiente grado di acidità e di una adeguata refrigerazione, le
spore eventualmente presenti si trasformano in cellule batteriche
capaci di replicarsi e produrre il potente veleno: la tossina
botulinica. Questa tossina, che può essere inattivata solo dalla
cottura dell’alimento, è inodore, insapore e incolore e, dopo
l’ingestione, viene assorbita a livello intestinale e raggiunge il
suo bersaglio a livello delle terminazioni nervose (giunzione
neuro-muscolare), impedendo ai nervi di trasmettere l’impulso
nervoso ai muscoli, generando così una paralisi flaccida, con
assenza completa di contrazione muscolare».
Diagnosi «Il
botulino – sottolinea ancora – consiste infatti in una grave
paralisi discendente (dai piccoli muscoli della faccia a quelli degli
arti inferiori), simmetrica (destra e sinistra insieme) e
progressiva. Ciò è dovuto al fatto che la tossina si lega in modo
irreversibile al bersaglio e agisce per un lungo periodo di tempo,
fino a che non si rigenerano nuove terminazioni nervose, cosa che può
richiedere mesi o anni. La gravità della malattia, proporzionale
alla quantità di tossina ingerita, è legata alla paralisi dei
muscoli respiratori per cui i pazienti possono sopravvivere, in
assenza di complicazioni, solo grazie alla respirazione assistita. La
diagnosi di questa malattia – precisa l’esperto – è prima di
tutto clinica e poi confermata da test di laboratorio, eseguiti in
strutture di riferimento, che dimostrano inequivocabilmente la
presenza della tossina botulinica nell’alimento sospetto e nei
campioni biologici dei pazienti».
Fonte: www.umbria24.it