Fausta,
Rosa, Fabio. Tre
under 35, due di loro con laurea. Vivono
in zone diverse d’Italia. In provincia di Taranto, a Gela, vicino
Pordenone. In comune hanno una sola cosa: lavorano
in una pasticceria.
Fausta
e Rosa hanno appena avviato la loro attività, Fabio fa questo
mestiere (da dipendente) da
vent’anni. Le loro storie sembrano andare contro una tendenza
diffusa.
In
Italia, secondo i dati della federazione italiana pubblici esercizi
(Fipe),mancano
giovani qualificati disposti a fare i pasticceri.
«Nel corso del 2013, il 13% delle assunzioni programmate non sono
state effettuate e sono rimaste vacanti
600 posizioni per personale qualificato»,
ha ricordato di recente il centro studi Fipe.
Secondo Lino Stoppani, presidente della Fipe, «sarebbe necessario dare più importanza alla formazione professionale, con il rafforzamento della formula dell’alternanza scuola-lavoro, e semplificare le procedure per le assunzioni, soprattutto per i giovani potenziando l’apprendistato».
Può
bastare? «Sì, sicuramente nuove regole possono essere utili. Ma ci
vuole anche qualcosa in più», risponde Fausta Leogrande, 30 anni,
ex consulente del lavoro che da meno di un anno ha aperto, in società
con una coetanea, la sua pasticceria. «La
vita da ufficio è ripetitiva, fai sempre le stesse cose. Non contano
le tue capacità, non è per niente gratificante»,
dice oggi.
La
pasticceria, invece? «È un lavoro creativo, per me è una forma
d’arte. Ogni tua creazione è unica». Lei ha aperto la sua nel
paese dov’è nata, Mottola, in provincia di Taranto. Prepara dolci
della tradizione ma si è specializzata anche in cake design. «Per
partire abbiamo investito i nostri risparmi»,
racconta.
Dicono che in Italia avviare un’attività commerciale non sia semplice. «È vero. All’inizio tra le difficoltà maggiori c’è la burocrazia. Tutto è più complicato e dispendioso del necessario. Ti passa quasi la voglia».
«Io
ho provato a mettermi in proprio ma gli
ostacoli sono troppi»,
racconta Fabio Giacomello, 34 anni, pasticcere da quando ne aveva 15.
Da otto anni lavora in una piccola azienda a conduzione familiare di
Porcia, provincia di Pordenone. Prima ha fatto esperienza
anche in grandi alberghi a Venezia, il Gritti, il Danieli. «Poi sono
tornato in provincia,
se no non avevo il tempo neanche per respirare».
Come
mai oggi non ci sono abbastanza pasticceri? «Si lavora sei giorni
alla settimana, almeno nove-dieci ore al giorno. Nei festivi poi, non
ci sono orari. Domenica, Natale, Pasqua, gli
altri riposano, noi lavoriamo il doppio.
Ci vuole passione per farlo». Ora però ci sono programmi
televisivi come
Bake-Off Italia, Il boss delle torte, Torte d’autore, Torte in
corso. «Quelli sono utili – continua Fabio – possono aiutare a
far capire il fascino di questo lavoro».
«Alle volte però i talent danno l’idea che sia tutto facile. Non si vede la parte noiosa. I tentativi, gli sbagli, le critiche», dice invece Rosa Scudera, 31 anni, laureata in giurisprudenza a Catania, pasticcera a Gela. Lei ha creato, con il collega più esperto Agostino Nuzzi un laboratorio in cui produce praline di cioccolato al nero d’Avola. La ricetta è sua.
«Ci
abbiamo messo un anno per trovare gli abbinamenti giusti»,
spiega. Il
suo è davvero un mestiere che non vuole fare più nessuno? «Non
credo. Nei
prossimi anni la tendenza si invertirà. Abbiamo
ricevuto un’educazione per cui il lavoro manuale veniva mortificato
a favore della teoria. Non è più così. I giovani si stanno
riavvicinando. Basterà aspettare qualche anno».
Antonio Sgobba
Fonte: nuvola.corriere.it