La
nostra concittadina Rossana De Pace ci racconta la sua esperienza
dopo aver partecipato al progetto Nazionale “Il Treno della
Memoria” dal
27 gennaio al 02 febbraio, dopo aver visitato i campi di Birkenau,
Aushwitz, la risiera di san Sabba e la fabbrica di Shindler a
Cracovia. .
ROSSANA
RACCONTA:
“Siamo
partiti da Bari in 740, divisi in 14 gruppi, affrontando 4000 km
passando per 5 stati diversi in 60 ore di pullman. Potrei raccontarvi
quello che ho visto, dai 175 ettari del campo di Birkenau al mercato
di natura morta di miriadi di capelli, scarpe, pentole, vesti e averi
che 1 100 000 uomini in quei campi avevano perso insieme alle loro
vite. Sarebbe, però, la stessa testimonianza che vedete in tv, che
vi raccontano nelle scuole; le stesse immagini che piangete nei video
o in foto. Gli stessi quadri lugubri che anch’io avevo visto prima
di partire, per cui avevo ribrezzo.
La differenza sta proprio nel vivere l’esperienza, che
aggiunge il significato vero a quelle immagini.
Per questo motivo, più che
essere descrittiva, la mia testimonianza sarà legata a quel che ho
partorito con questo viaggio, a come è cambiato il mio modo di
vedere le cose prima del viaggio e dopo.
Sono
partita con l’interrogativo “Com’è possibile che sia accaduto
un massacro del genere? Davvero l’uomo può arrivare a tanto?”.
Tutto era mosso da incredulità, nonostante condividessi la frase
“Ricordiamo per non dimenticare e non commettere lo stesso errore”,
quell’errore mi sembrava così assurdo che vedevo impossibile il
fatto che potesse riaccadere; ero tranquilla, lo davo per scontato
perché nella mia mente era tutto lontano dalla realtà, come se
quelle pagine di storia le avesse scritte un popolo e un uomo bagnati
nella follia, perversione, pazzia.
Rivelatoria
per me, è stata la visita alla fabbrica di Shindler, un uomo che
inizialmente sottrasse con l’inganno questa fabbrica agli ebrei, ma
che poi ne salvò 1.100 circa.
Ricostruiva l’evoluzione del sentimento del
popolo e tutto ciò che ha portato questo, ad abbracciare il progetto
di sterminio.
Ogni stanza era di forte impatto emotivo e ti
restituiva la storia attraverso tutti i sensi, facendoti vivere il
passaggio dalla libertà alla reclusione nel ghetto proprio giocando
sugli ambienti, riproducendone le sensazioni.
“Anche il cielo era di pietra e le mura, delle
lapidi” ci spiegava la guida mentre guardavamo un soffitto coperto,
dal quale scorci di cielo cercavano di spiare e il buio regnava,
interrotto da teche, scritte e rumori di sottofondo che erano voci
mischiate, lamenti trascinati. Passavamo da sentimenti di ogni
genere, da immagini raccapriccianti che facevano diventare tutto più
vero.
Ad
un certo punto tutto quel mondo lontano e irraggiungibile, si è
catapultato nella realtà, nella mia realtà e mi ha dato uno
schiaffo in pieno viso, facendomi piangere, infondendomi paura perché
non è passato, è presente, è il nostro presente e siamo chiamati
noi in ballo non solo con il ricordo ma soprattutto con le nostre
azioni, con le nostre scelte! In quel momento mi sono sentita
responsabile dell’oggi, sono diventata protagonista del mio tempo,
ecco perché mi ha fatto paura questa grande responsabilità.
E’
stato lì che mi sono data una risposta all’interrogativo di
partenza, capendo che non solo è stato possibile, ma che c’erano
dei presupposti che non avevano a che fare con la pazzia o
superficialità, ma con sentimenti profondi e radicati che hanno
permesso al piano di sterminio di essere efficace e condiviso dal
popolo!
Nel
momento in cui ho capito che non era più così assurdo mi sono anche
resa conto che quei presupposti che hanno dato vita a quell’orrore,
ci sono anche oggi.
Il
popolo doveva essere impazzito in quel tempo, pensavo, eppure
guardando con il binocolo a quel tempo vediamo una Germania che esce
distrutta dalla prima guerra mondiale più di tutti, accusata come la
maggior responsabile del conflitto e alla proposta di equilibrio di
Wilson nel congresso di Parigi del 1919, per la spartizione dei
territori vinti dalla guerra, è stata preferita la linea punitiva
che metteva la Germania KO.
Le
altre nazioni per toglierla dalla competizione l’hanno sotterrata
ancor più di quanto già lo fosse con i debiti di guerra.
Immaginate
così, un popolo in crisi, umiliato, pieno di odio e disperazione.
Ecco i
presupposti che rendono la storia, realtà : odio e disperazione.
E’
così lontano da quel che affligge noi oggi? Rimanendo qui, in
Italia, non stiamo vivendo la nostra crisi nel dolore, con la
difficoltà di non arrivare a fine mese, con la sfiducia nel governo
e tutto questo non provoca disperazione? Adesso questo popolo ci
sembra così folle, matto?
Io
oggi la noto la paura, la vedo in tutto quel che accade ogni giorno,
dalle parole dure verso gli immigrati, in quel che è accaduto a Tor
Sapienza perché la gente è disperata e cerca una soluzione, non è
folle, non è pazza.
Mi
sono trovata personalmente ad intervistare, per un progetto, diverse
persone sulla questione “Immigrazione” e c’è chi mi ha detto
“magari morissero tutti sotto le macerie di quel centro” con le
lacrime agli occhi quando parlava della difficoltà che aveva a
mantenere la sua famiglia, a istruire i suoi figli, a tenere la
casa, a sopravvivere!
Nei suoi occhi c’era dolore, rabbia, rancore che gli
facevano dire cose inaudite, come quelle che il popolo tedesco
condivideva e che a noi fanno ribrezzo adesso che non siamo in
guerra, ancora, ma io non noto differenza. La disperazione acceca,
diventa odio e degenera.
Hitler
non fece altro che abbracciare il malcontento di questo popolo che
vide in lui la soluzione dei suoi problemi, che lo rendevano debole e
facile da plasmare praticando una propaganda politica dell’odio che
guardava la rinascita della Germania e del Tedesco eliminando tutto
ciò che ne era estraneo, accusandolo come causa del problema.
Ora
ditemi se non è vero che l’odio verso il diverso non c’è da
noi, che per disperazione non dobbiamo anche noi trovare un colpevole
e non lo troviamo proprio in quell’ immigrato che “ci toglie il
lavoro”; e ditemi se non è vero che c’è tanta propaganda
politica che gioca sul malcontento della gente, che dissemina odio e
intolleranza aizzando i popoli contro chi è diverso, contro chi non
è italiano!
Quest’odio,
questa disperazione hanno trovato approdo in un uomo che gli ha
utilizzati come armi di distruzione.
Ora
non è più così assurdo, non è più lontano e irrealizzabile, per
cui ho smesso di stare tranquilla in quel campo. Non leggo più la
frase “Conosciamo per non commettere lo stesso errore” come
qualcosa di improbabile, in un futuro lontano da noi, perché
quell’errore è qui, nei nostri giorni, i presupposti sono gli
stessi, basta poco perché la storia si ripeta e tutto quello che ci
sembra assurdo, che ci disgusta potrebbe diventare realtà e noi
potremmo far parte di quel popolo disperato, che giustifica questa
violenza.
Proprio
qui sta la differenza! Adesso che conosciamo la storia non abbiamo
giustificazioni, abbiamo la possibilità di SCEGLIERE, la più grande
responsabilità che abbiamo nelle nostre mani.
Alla
fine della fabbrica c’erano due stanze, una bianca e una nera che
rappresentavano le persone che avevano fatto la scelta giusta e
quelle che avevano fatto quella sbagliata.
A quel punto la guida ci ha passato
il testimone, dicendoci che è nostro dovere CONOSCERE per capire da
che parte stare!
Non è più così
scontato ora, se ci caliamo nel sentimento popolare, ma sappiamo che
se ci facciamo prendere dall’odio, dalla disperazione,
l’intolleranza possiamo finire per ripetere la storia rendendo vana
la morte di tutta quella gente che ci ha dato la testimonianza che
“gli infelici possono essere pericolosi”. Proprio qui ha
acquistato senso il fatto di “non commettere lo stesso errore” e
questa è la nostra arma, la storia che deve essere conosciuta,
l’istruzione che deve essere interiorizzata.
Le
mie emozioni più profonde davanti quell’orrore sarebbero state
belle parole che avrebbero fatto commuovere forse, ma può parlarne
solo chi ha vissuto davvero quel massacro, noi possiamo solo
immaginare e già fa tanto male; possiamo andare a vedere con i
nostri occhi e immaginare meglio, ma questo non deve rimanere uno
statico stato di compassione guardando al passato, ma deve farci
aprire gli occhi sul presente e farci stare vigili e PRONTI! Adesso
sappiamo, abbiamo una marcia in più per scegliere di imboccare la
via per la stanza bianca, la scelta giusta, per l’umanità!”
Rossana De Pace