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mercoledì 31 luglio 2013

TORNA A CASA L'URANIO DI ROTONDELLA.

Viaggio misterioso nei territori di Marina di Ginosa, Castellaneta Marina, Chiatona, Mottola e Castellaneta.



Ci mancava solo l’uranio. Nella notte del 28/29 luglio, carabinieri anche sulle più insignificanti strade interne, l’intero territorio presidiato, nottetempo, fino all’alba, nei suoi punti nevralgici dalle Forze dell’Ordine.
E’ successo qualcosa, ma che cosa? La prima risposta arriva da Internet con l’inquietudine che ci fosse transito d’uranio. L’ultima notizia nel tardo pomeriggio per dire che le barre d’uranio dell’Itrec, per un accordo internazionale, tornano per sempre negli Usa. Si comincia con il ribollire notizie e interpretazioni. I siti portano che ci sarebbe stato un viaggio in assetto di guerra fra Rotondella e Gioia del Colle (aeroporto militare), attraversando il territorio ionico di Marina di Ginosa, Castellaneta Marina, Chiatona (Palagiano e Massafra), Mottola e Castellaneta. Un container marrone, con scorta anteriore e posteriore di carabinieri in assetto antisommossa, è stato visto attraversare prima la 106 e poi la Statale 100, cioè è transitato sul litorale marino lucano e pugliese e poi nell’entroterra murgiano. Ancora i siti dicono che il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando risponderà domani alle interrogazioni. In queste lande, sempre più desolate, per la popolazione dire Rotondella è dire Trisaia, cioè Enea, cioè uranio, arricchito, impoverito, cose da bomba atomica, pericoli; e ancora, andando a memoria, dire Trisaia è dire magazzino, deposito da cinquant’anni delle barre d’uranio della centrale nucleare statunitense di Elk River. Le agenzie, poi, riportano che nell’Itrec riposano 64 barre d’uranio e tonnellate di rifiuti radioattivi in barili ricoperti di cemento che la Sogin (Società Gestione Impianti Elettronucleari) deve mettere in sicurezza. Inoltre, dire Rotondella è dire Scanzano, un altro sfortunato paese nelle cui viscere volevano nascondere, i maligni dissero con approssimative protezioni, scorie nucleari, che le genti del luogo, anche dei paesi limitrofi, impedirono dopo un’epica battaglia con le sedicenti autorità, perché molti dei più fertili terreni lucani e della vicina Puglia, non corressero alcun rischio di contaminazione radioattiva, perché il mare di Metaponto e Castellaneta Marina e l’interna Gravina non morissero divenendo sorella maggiore di Cernobyl e di Fukushima. Dopo che un “intrusivo” Yelemessov qualsiasi, ambasciatore in Italia del Kazakistan, uno Stato grande quanto l’Europa e popolato quanto la Lombardia e il Veneto, ha spadroneggiato nel ministero dell’Interno, non ci si può, né si deve, stupire che gli Usa portino in giro per le strade e i cieli italiani le loro barrette di uranio. Da tempo non si sa più se l’Italia è ancora un protettorato americano, o un suo avamposto strategico nello scacchiere internazionale. L’Italia deve molto agli Usa, ne è anche alleata, ma perché queste operazioni misteriose? Che cosa impediva l’annunciare prima quel viaggio che scortato da 300 carabinieri armati come se dovessero andare in guerra, sembrava un andare a salvare la patria? Perché questa mancanza di buona educazione per non ingenerare sospetti e non dare la stura a illazioni e ipotesi, che più sono strampalate, più sono perniciose. In Puglia e in Basilicata c’è gente che d’estate si sveglia all’alba, alle 3, alla stessa ora nella quale è uscito il camion dal centro Itrec in Trisaia, per andare a lavorare nei campi, soprattutto ora che la calura estiva impedisce di stare al sole dopo le dieci di mattina. Un viaggio così imponente non poteva sfuggire a nessuno, e i telefoni avrebbero preso a bollire. In più bisognava tener conto del territorio che si sarebbe attraversato: abbastanza ammaccato. Che cosa avrebbe detto la gente del posto? Avrebbe detto ciò che ha detto: sì, il camion, prima di avventurarsi nelle insicure strade, non più per briganti, ma per jersey di ricotta, come a Pozzuoli, è stato messo a punto alla perfezione; il carico è sigillato da non poter subire alcuna perdita; la scorta non avrebbe mai e poi mai obbedito ad altri comandanti intrusivi. Però… Però, dopo i veleni dell’Ilva che continuano a scendere dal cielo, ecco l’uranio americano che cammina su queste strade; dopo la sottrazione di terreni all’agricoltura per “aiutare” gli ingrati Miroglio e Natuzzi, l’aeroporto di Gioia, che forse è tappa di transito di scorie radioattive, forse sede di stoccaggio dell’uranio, forse un pericolo per tutti. Ecco, conclude la gente del posto: Non ci mancava che l’uranio. Questa volta, aggiunge, ce ne siamo accorti. E se altre volte, d’inverno, quando a quell’ora non sta nessuno in strada, che cosa è successo? Il ministro, dicevano le agenzie, risponderà domani. Ma dopo l’Ilva, dopo Alma e Alua, dopo il “rinviismo” lettiano, e soprattutto a fatto compiuto importa forse a qualcuno ciò che dirà? E qualcuno è ancora disposto a credere alle parole dell’odierna politica? Infine la chiusura di un’intensa giornata: le barre, dopo un accordo fra Italia e Usa, insieme con quelle di altre stazioni, fanno parte di un’azione pianificata da tempo di “rimpatrio”.

Michele Cristella

Fonte: CORRIEREDELGIORNO.COM