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lunedì 17 novembre 2014

CONTRASTO ALL'ECONOMIA CRIMINALE: PRECONDIZIONE PER LA CRESCITA ECONOMICA.



Tutto esaurito ieri sera nei saloni della masseria Serrapizzuta, una location suggestiva, una masseria borbonica fortificata, con carcere annesso, nel costone dell’ultima murgia, in territorio greco del IV secolo a. C.

Il Tavolo Verde e la lista civica Bene Comune avevano organizzato un convegno su uno dei temi più spinosi di questo momento di crisi, ad un tempo causa ed effetto del disordine morale e organizzativo dell’Italia e delle sue classi dirigenti: l’economia criminale, parassita che, con la complice indifferenza di chi, invece, dovrebbe prevenirla e contrastarla, sta dissanguando gli italiani.
Il dibattito, dal titolo: “Contrasto all’economia criminale, precondizione della crescita economica”, prendeva spunto dalla relazione della Banca d’Italia del 7 novembre scorso. E, moderato da chi scrive, è stato sostenuto da Paolo Rubino, Donatella Duranti, Vincenzo Berardi, Cosimo Antonicelli e Giancarlo Berardi.
Dalle cifre di Bankitalia l’economia criminale, prostituzione, droga, usura, racket, contrabbando, è pari a più del 10% del PIL italiano. A questa impressionante cifra bisogna aggiungere i 150 miliardi di evasione fiscale e i 60 miliardi di corruzione. Ancora Bankitalia ha notato che in Puglia e Basilicata l’interferenza della criminalità organizzata nell’economia ha provocato un decremento del Pil del 16% e dell’11% in Irpinia, mentre in Friuli Venezia Giulia, la sua assenza è conteggiata in un incremento del 20%.
La criminalità organizzata, che deprime tutto ciò che tocca, secondo i sociologi, è una risposta all’inefficienza da incompetenza e corruzione (i particulari di Guicciardini, 1483 - 1540) dei dirigenti, a cominciare dai politici. Risposta che con l’andar del tempo diventa sistema: ciò del quale non si può più fare a meno, entro il quale si è costretti a vivere.
Se la malavita nasce dall’inefficienza e dalla corruzione dei dirigenti, essa scomparirebbe, o ne verrebbe assai rimpicciolita, se i dirigenti fossero onesti e competenti, cioè vivessero nella legalità, in una parola cercassero d’essere giusti.
Nella sua introduzione, Rubino ha denunciato l’eccessiva discrezionalià dei politici nell’affidare incarichi e lavori attraverso il metodo dell’intuitu personae, cioè “a chi mi piace”, il primo passo della commistione fra politica e malavita. Il resto segue e ha citato papa Francesco: combattere con la solidarietà le cause strutturali della povertà, provocata da diseguaglianze, disoccupazione e negazione dei diritti sociali. E’ il lavoro, ha concluso Rubino, la fonte dell’emancipazione e prima d’essere uno dei costi di produzione è la fonte della dignità umana, ed invece è su di esso che si picchia, invece che cercare innovazione e onestà.
Il luogotenente dei carabinieri, Vincenzo Berardi, autore di importanti operazioni di contrasto alla malavita, ha raccontato d’aver affrontato i signori della legge del più forte ed ha esortato a non subire più, perché altrimenti si morirebbe ogni giorno.
Mino Antonicelli, avvocato, ha scavato nella collusione fra politica e malavita, nel peso preponderante dell’economia sporca e della corruzione, denunciando le insuperabili resistenze nella legislazione contro l’autoriciclaggio.
Il coordinatore di Libera, la coraggiosa associazione di don Luigi Ciotti, Giancarlo Girardi, ha elencato la ramificazione di Libera e la sua sfida alla malavita quando, a sostegno della cultura della legalità, mette a frutto le azienda ad essa sequestrate.
Dal pubblico sono intervenuti il cittadino Franco Semeraro, che ha ricordato la costosissima devastazione della vallata del fiume Lato. Il sindaco di Palagiano Antonio Tarasco fa derivare la presenza massiva della malavita nelle istituzioni da crisi di valori notando che oggi tutto è legale, la qual cosa rende indistinguibile il legale dall’illegale. L’assessore di Mottola Gianni Bello ha visto nella folta partecipazione al dibattito un buon inizio nella lotta alla malavita e ha spiegato che l’amministrazione, front office con il pubblico può e dev’essere una sentinella della legalità, infine ha chiesto che l’amministrazione abbia la possibilità di costituirsi parte civile contro l’abusivismo edilizio. Il sindaco di San Giorgio, Giorgio Grimaldi ha ricordato gli attentati scherzandoci su, dicendo che ha dato il colore fumè al portone della sua casa, perché non si veda troppo il fumo degli incendi contro di lui, che evidentemente non obbedisce ai malavitosi. Mino Borraccino ha ricordato come da consigliere provinciale ha perso la sua guerra contro la politica e la tecnostruttura per sistemare secondo legge il fiume Lato, che, secondo la battaglia di Rubino, s’è bevuto 10 milioni per opere da meno di un milione, dragaggio e minimo rinforzo degli argini. Vito Vetrano ha raccontato il “familismo amorale” che vige nel municipio di Palagianello: incarichi a congiunti e loro parenti.
Mancava poco alle 21 e la sala era ancora piena, in attesa delle conclusioni dell’on. Duranti che dal suo speciale osservatorio qual è il Parlamento, dopo essersi compiaciuta per la folta presenza femminile: “si combatte uscendo da casa”, ha raccontato episodi di collusione. La mafia, ha spiegato Duranti, ha dell’antico, la roba dongesualdiana, e la penetrazione nell’imprenditoria. Per riciclare il denaro sporco acquista di tutto. Da ultimo le sono state sequestrate 1200 aziende e s’è fatta una triste scoperta: se un picciotto chiedeva credito lo aveva subito, credito, però, negato a quelli che dovevano avviare le aziende sequestrate alla mafia, quindi chiusura e perdita di occasioni di lavoro. Nel controllo malavitoso dell’economia va anche inserito il caporalato, ieri dei nostri, oggi anche degli immigrati, la legge sull’anticorruzione che è stata fermata. Intanto aumenta il degrado, a cui fa da alternativa la criminalità, perciò è sempre più indispensabile il reddito di cittadinanza.
Serata intensa, sale piene di quei cittadini che sono l’innervatura dello Stato: stavano lì a cercare la legalità, l’altro nome della giustizia.

Fonte: Tavolo Verde.