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domenica 29 ottobre 2017

PERUGIA: MORTO UNO DEI DUE STUDENTI INTOSSICATI DAL BOTULINO. DIECI GIORNI FA LA SCOMPARSA DEL PADRE.


Non ce l’ha fatta uno dei due studenti che a metà del giugno scorso erano rimasti vittime, a Perugia, di una grave intossicazione da botulino. Rocco De Pace,
viterbese di 26 anni,  dopo le dimissioni dall’ospedale Santa Maria della misericordia di Perugia era stato ricoverato in quello di Viterbo dove però, nella notte tra venerdì e sabato, è morto. Insieme al coinquilino leccese aveva mangiato del cibo mal conservato, in barattoli non perfettamente sottovuoto. Il pugliese fu dimesso il 30 luglio in buone condizioni di salute, mentre il 13 agosto De Pace fu trasferito a Viterbo.
Il calvario Il 26enne era rimasto più a lungo in rianimazione, per poi essere trasferito a Viterbo per avviare una riabilitazione. Entrambi erano stati sottoposti a un intervento di tracheotomia per favorire la respirazione. Il quadro clinico dei due pazienti era emerso in tutta la sua gravità fin dai primi accertamenti diagnostici eseguiti nella stessa notte del loro arrivo in ospedale.  I funerali si terranno domenica alle 15 nella chiesa di Santa Maria della Verità a Viterbo. La morte del 26enne rappresenta il secondo lutto in un brevissimo periodo di tempo per la famiglia: una decina di giorni fa è infatti venuto a mancare il padre, Ciro De Pace, ex docente di genetica agraria dell’università della Tuscia. De Pace aveva 66 anni ed era originario della cittadina pugliese di Mottola, anche se da moltissimo tempo viveva con la famiglia a Viterbo.
Parla l’esperta «Il botulino – spiega la professoressa Antonella Mencacci, responsabile della struttura complessa di Microbiologia dell’Azienda ospedaliera di Perugia – è una rara, ma gravissima malattia causata da un veleno prodotto da un batterio: il Clostridium botulinum (dal latino botulus, salsiccia). Le spore di questo batterio sono ovunque, nel suolo o nell’acqua, e sono estremamente resistenti a varie condizioni, come i raggi ultravioletti o la bollitura a 100 gradi. Le spore sono distrutte solo dalla sterilizzazione con strumenti specifici come le autoclavi di laboratorio. In un alimento, in assenza di ossigeno (insaccati o nelle conserve sott’olio), di un sufficiente grado di acidità e di una adeguata refrigerazione, le spore eventualmente presenti si trasformano in cellule batteriche capaci di replicarsi e produrre il potente veleno: la tossina botulinica. Questa tossina, che può essere inattivata solo dalla cottura dell’alimento, è inodore, insapore e incolore e, dopo l’ingestione, viene assorbita a livello intestinale e raggiunge il suo bersaglio a livello delle terminazioni nervose (giunzione neuro-muscolare), impedendo ai nervi di trasmettere l’impulso nervoso ai muscoli, generando così una paralisi flaccida, con assenza completa di contrazione muscolare».

Diagnosi «Il botulino – sottolinea ancora – consiste infatti in una grave paralisi discendente (dai piccoli muscoli della faccia a quelli degli arti inferiori), simmetrica (destra e sinistra insieme) e progressiva. Ciò è dovuto al fatto che la tossina si lega in modo irreversibile al bersaglio e agisce per un lungo periodo di tempo, fino a che non si rigenerano nuove terminazioni nervose, cosa che può richiedere mesi o anni. La gravità della malattia, proporzionale alla quantità di tossina ingerita, è legata alla paralisi dei muscoli respiratori per cui i pazienti possono sopravvivere, in assenza di complicazioni, solo grazie alla respirazione assistita. La diagnosi di questa malattia – precisa l’esperto – è prima di tutto clinica e poi confermata da test di laboratorio, eseguiti in strutture di riferimento, che dimostrano inequivocabilmente la presenza della tossina botulinica nell’alimento sospetto e nei campioni biologici dei pazienti».

Fonte: www.umbria24.it